Yo quiero
que a mí me entierren
Como a mis antepasados,
en el vientre oscuro y fresco
de una vasija de barro.
Cuando la vida se pierda,
tras una cortina de años,
vivirán a flor del tiempo
amores y desengaños.
Arcilla cocida y dura
alma de verdes collados,
luz y sangre de mis hombres,
sol de mis antepasados.
De ti nací y a ti vuelvo,
arcilla vaso de barro
con mis muertos yazco en ti,
en tu polvo enamorado.
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Vorrei essere sepolto
come i miei antenati,
nel ventre buio e fresco
di un’urna di terracotta.
Quando la vita si perderà
Dietro una cortina di anni,
vivranno fluttuando nel tempo
amori e disinganni.
Argilla cotta e dura
anima di verdi colli,
luce e sangue dei miei uomini,
sole dei miei antenati.
Da te nacqui e da te ritorno,
argilla vaso di terracotta
con i miei morti giaccio in te,
nella tua sacra polvere.
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L'apparire del sentimento religioso
coincide, nella storia della civiltà, con la cura dei defunti.
Fin dal Paleolitico troviamo testimonianze di sepolture in cui la salma
viene inumata in posizione fetale, dipinta di ocra rossa a simboleggiare
il sangue, per adombrare la possibilità di una rinascita, non sappiamo
se in una dimensione naturale o ultraterrena. Echi di questo rituale archetipico
si ritrovano ancor oggi in molte popolazioni native: la terra è
la madre garante di vita per ogni essere, e a lei si fa ritorno con fiducia
al termine del viaggio scandito dal tempo, per entrare in una dimensione
in cui passato e futuro paradossalmente coincidono in un eterno presente.
Perché tornare alla matrice che tutti genera e sostenta significa
connettersi sia all'infinito lignaggio degli antenati, sia a una promessa
di futuro ancora invisibile ma intimamente percepita come reale. |
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