Miguel de Cervantes (1547-1616) ebbe una vita avventurosa tra l'Italia
e la Spagna: citiamo ad esempio la sua presenza alla battaglia di
Lepanto e il suo rapimento ad Algeri dove rimase schiavo per cinque
anni. Il fallimento
di un banchiere lo coinvolse e venne incarcerato a Siviglia nel 1602
e qui forse nacque la prima idea del Don Quijote. Dopo la scarcerazione
ebbe vita di stenti al seguito della corte di Filippo III, ma scrisse
in pochi anni la
maggior parte della sua produzione letteraria (il Don Quijote fu pubblicato
in due tempi: nel 1605 e nel 1615). Il passaggio dal Rinascimento
al Barocco trova in lui un interprete personale e unico: forse più
di ogni altro
Cervantes sollecita il discorso verso il bisogno di scoprire il sogno,
la fantasia, l'ignoto, la follia, l'istinto, di portare all'aperto
la zona in ombra della coscienza umana. Il "Sonetto
a Sancho Panza" e l'"Epitaffio
sulla tomba di Dulcinea del Toboso" si trovano alla fine
della prima parte del Don Quijote e l'autore ne racconta come di composizioni
ritrovate in una cassetta di piombo dove "... si erano rinvenute
alcune pergamene scritte a caratteri gotici, ma in versi castigliani, che contenevano molte delle
sue imprese e davano notizia della bellezza di Dulcinea del Toboso,
dell'aspetto di Ronzinante, della fedeltá di Sancho Panza e
della sepoltura dello stesso
Don Chisciotte, con diversi epitaffi ed elogi della sua vita e dei
suoi costumi". L'Epitaffio
per Don Chisciotte invece è nel capitolo finale del romanzo,
quando viene raccontata la morte dell'Hidalgo.