
Nasce il 31 gennaio 1908
a Juan de las Peñas, Campo de la Cruz, Pergamino, nella
provincia di Buenos Aires, figlio di un ferroviere criollo e di
un'emigrante basca.
Quasi a riaffermare la prima corrente etnica che lo definisce,
cambia il suo nome anagrafico di Héctor Chavero con due
parole che in quecha significano "terra che viene da lontano"
e "andrai in giro a raccontar storie", parole che sono,
a loro volta, i nomi dei più famosi capi Incas: Atahaualpa,
l'ultimo sovrano che Pizarro fece uccidere nel 1533, incurante
di tutto l'oro che gli era stato offerto per il suo riscatto e
Yupanqui, appellativo di Pachacútec, il grande
costruttore del tempio del Sole e di suo figlio, Túpac,
realizzatore di ingenti opere sociali.
"Ata" o, più rispettosamente "Don Ata",
come sarà chiamato dalla gente di campagna che avvicinerà
giovanissimo, percorre a dorso di mulo la valle di Salta, Jujuy,
Catamarca e Tucumán, vivendo a stretto contatto con i minatori,
i tagliatori di canna da zucchero, i trafficanti di pellicce.
Nei tempi in cui i lavoratori venivano pagati con buoni che erano
poi obbligati a scambiare con merce negli spacci del padrone,
Atahualpa svolge ogni sorta di mestiere: garzone di fornaio, aiuto
notaio, giornalista, magazziniere in un deposito di foraggio e
carbone, muratore, mandriano di fattoria, tipografo. Oggi barcollante
sotto i massi della cava di pietra da mola o sotto i blocchi di
sale, domani guida preziona dell'antropologo Alfred Métraux
per le ricerche etnomusicologiche sul campo, finché tutto
questo non convergerà in una sola dimensione espressiva,
quella del payador. (per approfondimenti vedi: i
trovatori latinoamericani). Atahualpa attraversa tutte le esperienze possibili del trovatore itinerante:
dai contadini che gli si riuniscono attorno commossi per sentirlo
cantare "cose che capitano anche a loro", all'applauso del
pubblico dei più noti teatri dell'America Latina, dell'Europa
e dell'Asia, allo stupore dei critici stranieri per il suo stile inimitabile
di chitarrista, alle recensioni immaginifiche, basate sul suo profilo
ieratico da grande capo indio.
Si definiva payador perseguido, trovatore perseguitato:
tale è il titolo di un suo lungo componimento autobiografico,
centoventi sestine ottonarie in ritmo di milonga,
nate sotto il segno del Martín Ferro: fatto quasi inevitabile
perchè, fino ad epoca recente, nelle campagne dei paesi del
Plata, per ogni barile di yerba per il mate che si comprava,
si riceveva in regalo un'edizione del poema di José Hernández
e altri esempi minori del genere gauchesco.
Le canzoni di Atahualpa alludono spesso al carcere e alla violenza
fisica esercitata su di lui e sulla sua chitarra allo scopo di ammansire
la sua poesia. Durante gli anni quaranta, quando sia in Argentina
sia in Uruguay si cominciava a sentire per radio la voce rauca, aspra
e terrosa di Atahualpa Yupanqui, si mormorava che fosse un militante
politico (sulla parola "comunista" vigeva il tabù
maccartista) e si raccontava che il suo partito l'aveva cacciato e
che i peronisti l'avevano messo varie volte in prigione.
Quando, da vecchio, nel Payador perseguido vorrà raccontare
i momenti salienti della sua vita non ci sarà, a proposito
di quegli anni, che qualche velato ed amaro riferimento:
Affinché le cose cambiassero
cercai una rotta e mi persi
Di quegli oscuri cammini
ho fatto la mia esperienza
"Mettete le etichette a chiunque, meno che a me",
chiudeva deciso se lo si interrogava su questi fatti.
Atahualpa ha dichiarato più volte che, sebbene
la canzone può denunciare l'ingiustizia sociale e la frustrazione
dell'uomo, chi intende fare politica deve lasciare la chitarra e scendere
in strada. In un'intervesta radiofonica a Buenos Aires, agli inizi
del 1973, raccontò di aver trovato in Argentina, dopo una lunga
assenza, un panorama molto confuso: era il momento del trionfalismo
che precedeva il ritorno di Perón. Ribadì la stessa
opinione al Festival del Folklore di Cosquín dello stesso anno,
a lui intitolato. Al termine della sua esibizione, Atahualpa prese
il microfono per dire: "Chiedo che il mio nome sia cancellato
definitivamente il giorno in cui in questo scenario si canterà
ai dittatori". Non pochi avevano pensato che, con gli anni, Atahualpa
si fosse imborghesito e che i suoi impegni artistici in altre strade
del mondo lo avessero distratto dalla sua famosa consegna: "la
ribellione è la mia scienza".
A dimostrazione della continuità dell'impegno
civile di Atahualpa, vale la pena di riferire, per sommi capi, l'itinerario
seguito da !Basta ya!, uno dei più chiari esempio antimperialistici
del cantautore. In occasione di un viaggio nei Caraibi, intorno al
1950, Atahualpa raccoglie e armonizza, tra l'altro, Duerme negrito.
che lui stesso renderà celebre e la strofa di Al vaivén
de mi carreta, vecchio canto del folklore cubano che, con l'aggiunta
di un nuovo ritornello in cui Atahualpa accusa gli Stati Uniti, diventa !Basta ya!. A differenza della ninna nanna negra, per ovvie
ragioni, questa canzone, registrata dall'autore in un '78 giri, rimane
sconosciuta, fuori dal normale circuito di distribuzione. Ripescata
e pubblicata solo nel 1967 nel libro !Basta! Chants e etémoignage
ed révolte de l'Amérique Latine" (Meri Franco-Lao,
editore Francois Maspero, Parigi) viene riproposta dallo stesso Atahualpa
cinque anni dopo in un LP (Le chant du Monde). Comunque la censura
argentina, priva di duttilità e di informazione, impegnata
a reprimere la cultura, ha proibito sino alla fine il più grande
trovatore del paese, in virtù dei suoi trascorsi di "comunista
sovversivo".
Negli ultimi anni della sua vita Atahualpa Yupanqui
ha abitato a Parigi, geloso della sua privacy. Aveva una moglie
francese, un solo figlio e un nipote. Frequentava le conferenze ed
i teatri, leggeva Hesse, Neruda e García Márques fra
gli altri autori, quando non era in giro per concerti. Non si riteva
un esiliato, poiché tornava nella sua terra ogniqualvolta sentiva
il bisogno di "innaffiare il suo albero", come diceva usando
una delle sue tipiche espressioni attinenti alla vita rurale. Prototipo
dei trovatori rioplatensi, la solitudine fiera e riflessiva alimenta
i suoi versi. Avendo imparato dall'indio a mantenere un saldo rapporto
con la natura, al suo dialogare tutto sembra animarsi: la pampa, le
cime di pietra, gli alberi, i fiumi, giunchi, la canna da zucchero,
insieme alle lucciole, le mandrie, i cavalli. "Gente che andava
a piedi nudi, i miei antenati" cantava rendendogli omaggio, conscio
della vessazione dei nativi americani.
Nel repertorio del coro:
Viene clareando
Chacarera de las piedras
Bibliografia: Meri Franco Lao Trovatori dell'America
Latina, Ed. Borla (S.I.L. -S.R.L.) - s/d, Roma. |